"Qui passo gli anni, abbandonato, oscuro, senz'amor, senza vita; ed aspro a forza tra lo stuol de' malevoli divengo: qui di pietà mi spoglio e di virtudi, e sprezzator degli uomini divengo..." (G. Leopardi)

martedì 6 febbraio 2018

Cronache di giorni che passano .... e di pallone. -- CAPITOLO II ---

Notte in bianco.... cronache di Ospedale.

Avvolto nel mio bozzolo sempre più fitto e rimesso su una sedia a rotelle, nella vergogna più profonda per essere spinto da una donna, attraverso corridoi uguali a se stessi, sono stato portato al reparto di ortopedia, camera 11. 

Ero ancora vestito come quando giocavo, forse per l'ultima volta della mia vita,  con pantaloni lunghi tecnici da portiere, e una maglietta mimetica che prima era sotto alla mia maglietta da portiere con maniche tre quarti senza polsini, tutto rigorosamente nero e numero "1" rosso fuoco. Avevo resistito al dolore tanto da togliermi la maglietta nera, ironia della sorte, il mio "portafortuna sportivo", ma non sono riuscito a togliermi la maglietta mimetica e me la hanno dovuta impietosamente tagliare.

Mi sono ritrovato nuovamente semi seduto in un letto di corsia ospedaliera, con una protezione in gomma piuma rivestita di cotone, passata intorno al collo e al torace in modo da sorreggere il braccio e fissata con delle fascette in plastica tipo elettricista, metodo poco ortodosso ma molto efficace.

Erano oramai le 01.30 di notte passate del 30 gennaio 2018, non rimaneva che aspettare l'effetto dell'anti dolorifico endovena e che venisse domani. Occupavo il letto vicino alla finestra mentre solo dopo un po' ho notato il mio compagno di stanza con una gamba in trazione dalla quale uscivano dei ferri. Per un attimo ho pensato che qualcuno stava sicuramente peggio di me, ma onestamente è stato un secondo perché né avevo abbastanza per non pensare a nessun altro.

Nel tepore che provoca l'anti dolorifico ho tentato di dormire. Ero senza dubbio stanco e la testa cadeva a destra o a sinistra perché in pratica avevo il busto in posizione verticale. Ho cercato di trovare una posizione stabile e un compromesso con il dolore, questo ha tolto tempo prezioso alla notte. Quando mi sono finalmente addormentato mi sono trovato a sognare quanto era successo, nel modo in cui me lo ricordavo o credevo di averlo vissuto. Il sogno si interrompeva bruscamente con un salto involontario sul letto, ogni volta che arrivavo al momento fatidico. Insomma una classica nottein bianco.

Questo sognare e svegliarsi bruscamente si è ripetuto per tutta la notte, fino a quando, a suon di flebo, è arrivata mattina.
Con la luce del giorno ho capito che per la prima volta in vita mia mi trovavo ricoverato in un ospedale, nel luogo dove avevo visto, esternamente e solo da visitatore, le sventure di altri. Mi sono sempre detto che a me non poteva capitare.

Ho ripensato che almeno fino a 30 anni, ero assolutamente convinto di essere immortale e che per me il tempo non sarebbe passato. Superati i 30 ho capito che il tempo non si sarebbe arrestato o che almeno non lo avrebbe fatto per me. Poi gradualmente ho preso coscienza della mia condizione umana.

Alla fine è capitato anche a me, giacere sul tecnologico letto dell'ospedale con il telecomando che alza la testa e le gambe. Il bianco, ilverde chiaro e ilceleste deimuri, dei camici e delle suppellettili. Un dolore da combattere. Adesso toccava a me senza possibilità di scelta.

Nonostante il dolore ancora acuto, avevo una gran fame. Saranno state le 08.00 quando è stata distribuita la colazione. Latte e orzo con fette biscottate, marmellata e tre biscotti; tutto incartato in confezioni che richiedono due mani per essere aperte. Latte servito in una ciotola usa e getta di plastica finissima e che può essere sollevata con due mani esclusivamente.
Per quanto difficile, aprendo tutte le confezioni con la mano buona e la bocca, bevendo a cucchiaiate,  senza fretta, ho fatto anche la mia prima colazione in ospedale.

Ho conosciuto poi il mio compagno di stanza. Dopo aver appreso che si era rotto una gamba andando a caccia mi sono sentito meno stupido per quanto successo a me.
Ho capito che il mio compagno di stanza deve essere -per così dire- "qualcuno", anche se non saprei dire chi. L'ho capito perché in tutta la mattina sono arrivati ossequiosi medici e altre persone a mettersi, - sempre per così dire - "a disposizione". 

Non saprei dire a che ora ma finalmente è arrivato il medico anche per me. Lo stesso che la sera prima mi aveva ricoverato. Mentre lo vedevo avvicinarsi continuavo a ripetermi che non poteva portare notizie peggiori di quelle già datemi. In effetti mi ha ripetuto quello che già sapevamo fino a quando, dimostrando di aver prestato attenzione ed avere studiato attentamente il mio caso, mi ha prospettato, tra le possibili soluzioni,  quella più adatta a me: una riduzione chirurgica della frattura scomposta mediante l'inserimento di un perno e alcune viti; il tutto da valutare e decidere solo dopo una TAC, ma spiegato con professionale distacco e dovizia di particolari tecnici.

E' strano come ci siano cose apparentemente insignificanti che ti inducono ad avere fiducia nel prossimo. Da come aveva parlato era chiaro che aveva studiato i miei rx e aveva ragionato disinteressatamente e obbiettivamente sul da farsi. Era chiaro che non stava improvvisando e meritava quindi la mia fiducia.

La TAC ordinata e fatta quasi subito in una eccellente dimostrazione di efficienza, è stato l'ennesimo teatrino di stretching per sdraiarsi su un tavolo di metallo lucido e dentro ad un macchinario cilindrico, vanto della tecnica. Nelle grida di dolore, l'esito dell'esame ha confermato quanto ipotizzato: riduzione chirurgica, perno e viti. Il tutto da fare domani.

Nonostante gli anti dolorifici dispensati a più non posso, il dolore non passa ma sto comunque uscendo dal mio bozzolo. Sono fiducioso su quanto accadrà domani e su chi mi sta curando. Intanto mi hanno cambiato stanza. Sono da solo ma nella stanza di fianco c'èun signore anziano che bestemmia strillando. 

Si fa di nuovo sera e so già che sarà un'altra notte agitata.
(CONTINUA) 

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