"Qui passo gli anni, abbandonato, oscuro, senz'amor, senza vita; ed aspro a forza tra lo stuol de' malevoli divengo: qui di pietà mi spoglio e di virtudi, e sprezzator degli uomini divengo..." (G. Leopardi)

domenica 6 marzo 2011

La solita storia di sempre.....

All’inizio è stata chiamata la “rivolta del  pane” ed è scoppiata in Tunisia coinvolgendo a breve anche l’Algeria. Il popolo si è ribellato ad un regime dittatoriale che deteneva il potere da quasi 30 anni. Il dittatore tunisino in questione è l’ex Generale Ben Ali  che ha tenuto la nazione tunisina in condizioni di povertà e arretratezza, arricchendosi alle spalle del popolo.

Inaspettatamente la rivolta algerina ha scatenato un fenomeno simile in tutto il Nord Africa e non solo. Ripercussioni di cui ancora non conosciamo la portata si registrano anche in Medio Oriente e in parte del mondo arabo.

In tutti i paesi del Nord Africa, il potere è detenuto da dittatori usciti vittoriosi da colpi di stato militari che si sono susseguiti al termine del colonialismo europeo e in particolare britannico.

Moubarak in Egitto, succeduto a Sadat, a sua volta succeduto a Nasser, è stato costretto all’esilio solo recentemente. Al-Bashir in Sudan, altro dittatore militare incriminato dalla Corte Penale Internazionale dell’ONU per crimini contro l’umanità, ha recentemente fatto importanti concessioni al popolo del Sudan pur mantenendo salda la sua autorità sul Nord del Paese. Anche Oman, Yemen, Iran con la differenza che il Presidente Ahmadinejad detiene il potere d’accordo con l’autorità religiosa islamica.

Questi sono esempi di regimi dittatoriali o ritenuti tali nei fatti dal momento che in questi paesi si registrano forti limitazioni delle libertà fondamentali degli individui.

In Libia il detentore del potere è il Colonnello Gheddafi. Negli ultimi giorni Gheddafi sta tenendo testa ad un movimento di rivolta armato fino ai denti e sta tenendo testa anche ad una avversa opinione pubblica mondiale.

 Sicuramente ci troviamo ad osservare un periodo di cambiamento in tutto il Nord Africa. E’ difficile che una volta ristabilito l’ordine in tutti questi paesi, gli stessi personaggi vengano confermati al potere. Ben Ali ha già abbandonato la Tunisia alla volta dell’Arabia Saudita. Lo stesso ha fatto Moubarak dall’Egitto. Al-Bashir in Sudan sta fronteggiando nuovamente il movimento di liberazione del Darfur ma allo stesso tempo ha avallato il referendum per la secessione del Sud del paese, popolato da sudanesi cristiani.

La così detta comunità internazionale sembra essere molto attenta a questi avvenimenti e sembra aver preso posizione, in maniera piu’ o meno palese, a favore dei movimenti rivoluzionari.

Quello che non è chiaro è il perché di tanta attenzione e di tanto appoggio a movimenti popolari di rivolta contro governi o regimi, con cui fino ad ora noi tutti paesi evoluti, abbiamo intessuto rapporti e accordi di ogni sorta.

Ovviamente destabilizzazioni su larga scala portano a cambiamenti e modifiche agli accordi economici e agli accordi di pace bilaterali, multilaterali e collettivi in essere tra i nostri paesi “avanzati” e i paesi colpiti dai disordini.

L’aspetto ancora piu’ importante è che questi paesi gestiscono una parte molto rilevante delle risorse energetiche e delle vie di comunicazione strategiche, oltre ad essere custodi di equilibri geopolitici molto fragili. La Libia è un partner economico non solo per l’Italia, ma gli approvvigionamenti di gas libico fanno si che la nostra dipendenza dal gas russo, con Gazprom in testa, non diventi una dipendenza totale. Le risorse petrolifere del Sudan sono sfruttate da paesi come Cina, Malesya, Francia e altri. L’Egitto soprattutto è fondamentale per il transito nel Golfo Persico e garantisce che non si apra un nuovo fronte islamico ostile allo stato di Israele.

Questa è solo una piccola parte degli interessi in campo, i fenomeni di destabilizzazione del Nord Africa hanno una portata tale da richiedere pagine e pagine per essere descritti.

Tutti questi interessi sono fondamentali in un’ottica di mantenimento di un equilibrio mondiale che garantisca crescita economica per i nostri paesi, mantenimento della pace e dei rapporti di forza che garantiscono la pace stessa.

Da qui, negli ultimi giorni alcuni paesi come Stai Uniti e Regno Unito in testa a tutti, dietro l’idea mediatica della liberazione di popolazioni oppresse dalle dittature, stanno progettando interventi militari per riportare “la pace” e “la democrazia” nei paesi oppressi. Il tutto avviene con il consueto immobilismo della Comunità Europea, lo stato di stasi dell’ONU e la spinta silenziosa ma forte della NATO.

Cio’ che è impressionante è che queste idee siano avallate e appoggiate da professionisti della geopolitica e politici anche nel nostro paese. Inoltre soprattutto nei telegiornali, si nota come venga dato molto spazio alla cronaca dai paesi colpiti dalla crisi enfatizzando le condizioni delle popolazioni, mentre si dedicano solo pochi secondi alle determinazioni internazionali volte a risolvere tale crisi.

Ci si occupa di accusare Gheddafi di ogni sorta di crimine, parlare del congelamento dei suoi patrimoni all’estero, ma non si entra nel merito dell’intervento che i paesi “evoluti” stanno progettando.

Poi si torna a parlare di gossip, del “caso Ruby”, dell’omicidio di Avetrana e quello di Brembate. Le notizie che in questo momento sono le cose che la maggior parte degli spettatori vogliono sentire e sentirsi dire.

Vediamo cosa traspare da questo fumoso e confuso uso dei mass media: ovviamente quanto segue è cio’ che traspare da “open sources”, quindi senza pretese di insegnare nulla, ma con la voglia di esprimere la mia opinione al riguardo.

Come al solito la Comunità Europea non riesce a prendere iniziative, la CE rifiuta a priori ingerenze militari all’esterno della comunità ma non prende posizioni su iniziative unilaterali o della NATO. Le uniche manifestazioni della CE rimangono le dichiarazioni stampa della Signora Ashton che giorno per giorno si dichiara “preoccupata”, “dispiaciuta” o “deeply concern”, in merito a ciò che sta succedendo in tutti i paesi colpiti dalle rivolte. Niente altro. Solo recentemente la Comunità Europea ha deciso di congelare i beni di Gheddafi in Europa. Decisione come al solito giunta in “extremis” e di poco rilevante utilità.

 l’immigrazione clandestina dal Nord Africa e dal Medio Oriente è fronteggiata in via quasi esclusiva dall’Italia, da qui le legittime lamentele del Ministro dell’Interno Maroni e del nostro Ministro degli Esteri Frattini nei confronti della Comunità Europea, visto che solo una parte dei clandestini intenderebbero rimanere in Italia, mentre la maggioranza di loro avrebbe intenzione di dirigersi verso altri paesi europei.

 L’immigrazione illegale turca diretta verso la Germania è un affare quasi esclusivamente tedesco, coadiuvato comunque dalla missione Europea Frontex, così come Spagna e Portogallo vengono coadiuvate nel controllo delle loro frontiere marittime con il Nord Africa.

La questione Kosovo è una patata bollente che la CE si è presa in mano con un passaggio di consegne forzato dalle Nazioni Unite e che sembra ben lontano da trovare una soluzione a causa dell’illegalità che regna sovrana nella regione, l’illegalità stessa dell’indipendenza del Kosovo e il dubbio mandato della missione della CE nel paese.

L’immobilità e l’inerzia della CE, è sopraffatta dall’improvvisa iperattività di singoli paesi. In testa a tutti il Regno Unito, fido alleato della politica degli Stati Uniti, in questo caso sta prendendo le redini della situazione e sta dirigendo la campagna mediatica a discredito di Gheddafi. L’Inghilterra sembra pronta, come anche gli USA, ad un intervento militare in Libia.

Chiamandolo “intervento di pace” o “missione umanitaria”, anziché “invasione” o “guerra”, questi paesi prospettano una ingerenza militare in Libia a favore dei rivoltosi, contro l’autorità ufficiale di Gheddafi con cui fino ad ora abbiamo dialogato e stipulato trattati ed accordi di ogni sorta.

Improvvisamente abbiamo la possibilità di mettere le mani sulle risorse energetiche di Gheddafi e di creare un governo allineato alle politiche americane e inglesi in materia di sicurezza. La Comunità Europea accetterà i risultati di quanto avverrà non avendo una sua strategia da attuare o proporre.

Le risorse libiche sono il fattore scatenante dell’intervento, altrimenti perché non si poteva intervenire già 20 o 30 anni fa? Perché considerare Gheddafi un partner fino ad oggi quando eravamo al corrente delle sue malefatte contro il popolo libico e sapevamo benissimo quanti soldi Gheddafi dirigesse verso i nostri paesi?

Le risorse a cui fino ad ora, paesi come Inghilterra e Stati Uniti non avevano accesso, nonostante i numerosi tentativi di ingraziarsi lo stesso dittatore libico, ultimo dei quali la liberazione da parte del Regno Unito del terrorista libico Abdelbaset Ali Mohamed Al-Magrahi, responsabile dell’attentato di Lockerbie, attentato ad un aereo della Pan Am sui celi della Scozia che costò la vita a 270 persone nel 1998.

Lo stesso vale per la solita, identica politica strategica di ingerenza degli Stati Uniti. Dietro la bandiera dei diritti umani e del loro infallibile modello di democrazia, si dichiarano pronti ad un altro, l’ennesimo intervento armato a favore degli insorti libici, dipinti dai mass media americani come vittime di Gheddafi e come eroi che combattono per la libertà.

Quale è il ruolo delle Nazioni Unite in questo nuovo caos mondiale? La crisi del Nord Africa è un evento in evoluzione ma in corso da tempo. Come al solito l’ONU è immobile, incapace di prendere qualsiasi decisione. Lo dimostrano le espressioni di sorpresa e l’atteggiamento di attesa sia del Segretario Generale Ban Ki Moon, sia la latitanza delle maggiori agenzie ONU, prima tra tutte l’UNHCR (Alto Consolato per i Rifugiati).

Tutto come al solito, tutte cose già viste innumerevoli volte in altre situazioni e in altre parti del mondo. Una su tutte la crisi dei Balcani degli anni ’90.

Adesso che anche la Russia sembra aver abbandonato Gheddafi, probabilmente il Consiglio di Sicurezza giungerà ad un accordo formale per la risoluzione del “problema Libia”. Una decisione politica è comunque lontana dalla posa in opera di un intervento efficace e capace di alleviare le sofferenze delle popolazioni coinvolte nei disordini. Siamo soprattutto lontani da un intervento umanitario disinteressato, dove le popolazioni bisognose siano il soggetto centrale degli aiuti e non solo un paravento per altri interessi.

La storia ci insegna che tutte le ingerenze militari di USA e Regno Unito, certe volte appoggiate dall’ Australia e altri paesi minori, per dare una maggior parvenza internazionale agli interventi, avevano come scopo quello di controllare risorse energetiche prodotte (Iraq, Kuwait), di istaurare governi fittizi ma allineati alla politica americana (Afghanistan, Somalia, Iraq) o di assicurare basi strategiche per avere sempre un occhio puntato sugli “amici” russi e sulle vie di passaggio di risorse energetiche (Afghanistan, dove Obama sta trattando la costruzione di una base militare USA permanente, Ex Jugoslavia in genere e soprattutto Kosovo dove gli Stati Uniti hanno da anni la loro piu’ grande base militare fuori dal territorio americano).

 Per affrontare l’aspetto Russo della questione, in linea con la loro tipica politica di attesa, in questo momento sembra esserci una convergenza di vedute all’interno del Consiglio di Sicurezza e una comune avversione al regime di Gheddafi. Ciò  fa quasi sorridere. Da parte russa un intervento in Libia a spese di Regno Unito e America, e successivamente Comunità Europea e Nazioni Unite, con le prospettive di creare situazioni simili a quelle già viste in Iraq e Afghanistan, andrebbe  a favorire, ancora una volta, la supremazia energetica della Russia per quanto riguarda i rifornimenti di gas naturale all’Europa, eliminando a “spese 0” il piu’ diretto concorrente.

Nella migliore delle ipotesi un intervento militare contro Gheddafi, in appoggio alle fazioni ribelli della Libia, porterebbe alla creazione di una autorità transitoria con a capo qualche personaggio scelto dall’America, in linea con le politiche occidentali e appoggiato dalle Nazioni Unite. Di fatto sarebbe un governo formato dai nuovi detentori del potere in Libia, quelli scaturiti dal confronto armato, molto spesso criminali alla stregua dei precedenti dittatori ma piu’ in linea con gli ideali americani.

Questo esito è evidente in situazioni precedenti: in Kosovo, grazie all’incompetenza della Comunità Europea in politica estera, al ruolo blando delle Nazioni Unite e alla politica aggressiva degli USA, è stato creato uno stato fittizio (Republika e Kosoves) comandato da criminali di guerra e trafficanti di ogni genere, che riescono a catalizzare il consenso popolare e che mantengono una politica compiacente nei confronti degli Stati Uniti.

In Afghanistan è avvenuto lo stesso con il Governo Karzai: politica fortemente in linea con le richieste americane in cambio di ricchezze personali e la gestione del business dell’eroina verso l’Europa e la Russia.

 Tornando all’ONU, é molto piu’ probabile che il bravo Ban Ki Moon, che ovviamente vorrà essere rieletto a capo dell’ONU per la seconda volta, prenda tempo, aspettando come al solito l’iniziativa di singoli paesi (i soliti USA e Inghilterra) o di entità regionali come la NATO, che successivamente legittimerà con una risoluzione postuma che metterà d’accordo tutti con la medesima retorica di sempre, citando “inevitabilità degli eventi”, “intervento umanitario difficile ma necessario”, ecc.

Precedenti simili nella storia recente, si trovano ancora nella questione Kosovo. Con gli USA in testa alle forze NATO, con la scusa di proteggere minoranze etniche afflitte da un dittatore (Milosevic) e con una campagna mediatica preliminare adatta a portare l’opinione pubblica a favore dell’intervento, hanno bombardato il Kosovo per 78 giorni e provocato l’esodo di oltre 200.000 persone, ad oggi ancora esuli e senza prospettive di ritorno.

L’esito di quell’intervento, approvato da una risoluzione dell’ONU (la Risoluzione 1244) solo alla sua conclusione, ha fatto si che gli USA, con l’immobile complicità della Comunità Europea, sia riuscito a creare un nuovo stato in banca rotta sin dalla sua nascita, in violazione dei sacrosanti accordi successivi al secondo conflitto mondiale e istaurando un governo di criminali che trafficano eroina afgana, esseri umani e armi in mezzo mondo.

 Questa volta, nel caso della Libia i ruoli si sono invertiti con gli USA apparentemente a rimorchio dell’Inghilterra. La strategia non sembra essere comunque cambiata. La campagna mediatica è già iniziata e sorretta da tutti i piu’ influenti network mondiali. La parola d’ordine è: “ Gheddafi, un criminale da eliminare”. La strategia di ingerenza diretta sul territorio libico, in appoggio ad anonimi rivoluzionari, è probabilmente già pronta, con la scusa di istituire una democrazia e con lo “stendardo del modello democratico occidentale” ben issato davanti agli schermi.

Somiglia anche all’intervento umanitario in Hahiti, dove per gli Stati Uniti si sono arrogati la leadership e il coordinamento degli aiuti ma per prima cosa hanno mandato soldati armati e dopo personale umanitario.

Gheddafi, come Ben Ali, Moubarak eccetera, sono o erano al potere da decenni e non è interessato nulla a nessuno fino ad oggi. Tutti, dalle Nazioni Unite, all’UE, fino ai singoli paesi sviluppati, erano al corrente del fatto che in Libia c’era una dittatura e Gheddafi era il suo leader. Tutti sapevano dei soldi che egli investiva nei nostri paesi democratici e andava bene a tutti.

Nessuno fino ad ora si è fatto promotore dei diritti delle popolazioni di questi paesi. Fino ad ora ci andavano bene tutti questi dittatori che ci garantivano politiche allineate o quanto meno neutrali e ci garantivano controllo dell’immigrazione clandestina all’origine e risorse energetiche strategiche. Adesso, di colpo iniziamo a screditarli e a fomentare rivolte contro di loro.

Anche dai soli telegiornali non si puo’ certo dire che i rivoltosi libici siamo pacifici. Vanno in giro armati fino ai denti e sembrano anche bene organizzati. Chi sa perché fino ad ora non erano riusciti ad organizzarsi per costruire la loro società anziché distruggere quel poco che hanno avuto? Chi sa perché fino ad ora nessuno di questi “partigiani” aveva pensato a rovesciare il regime? Chi sa chi c’è dietro le quinte a sussurrare all’orecchio dei rivoltosi e a procurargli armi e mezzi?

E’ difficile pensare che non ci sia la mano di qualche paese interessato a modificare lo “status quo” a suo favore. Sa tutto di cose già viste, di fatti già osservato in passato, strategie già messe in atto in altre aree del mondo.  Il pentagono sembra avere le prove degli attacchi aerei di Gheddafi contro i ribelli. Prove che hanno solo gli Stati Uniti, come avevano le prove dei missili di Sadam Hussein in Iraq (mai trovati), come in passato avevano le prove dell’attacco serbo al mercato di Sarajevo in Bosnia, mentre oggi siamo quasi certi che la strage del mercato sia stata causata da una bomba messa dai musulmani per dare una scusa a ulteriori interventi internazionali contro la Serbia.

L’ingerenza che si prospetta in Libia rischia di rivelarsi l’ennesimo tentativo goffo di esportare il nostro modello democratico in paesi profondamente diversi dai nostri per tradizioni, modo di vivere e modo di intendere la società. Sembra anche l’ennesimo tentativo, dopo Kosovo Afghanistan e Iraq, di impadronirsi delle risorse energetiche che sfuggono al controllo occidentale.

Come è già accaduto in altre aree geografiche della terra, si corre il rischio di una ennesima deriva islamica estremista, ovvero la creazione di un nuovo governo fantoccio allineato alle nostre politiche che di fatto non riesce a governare. Formato da criminali e potenziali nuovi dittatori, schiavo di gruppi terroristici votati alla Jihad, destinati a sfuggire al controllo militare locale e internazionale.

In pratica una seconda Somalia, dove il Governo Federale Transitorio viene finanziato da soldi internazionali ma non riesce a controllare il proprio territorio caduto in mano a gruppi islamici estremisti senza scrupoli (nel caso specifico Al-Shabaab). O come in Iraq dove si registrano attacchi suicidi molto frequenti con decine e decine di vittime tra i civili.

Perché in Egitto un simile intervento armato è stato scongiurato? La risposta è semplice. La crisi egiziana sembra risolta tirando fumo negli occhi ai manifestanti. La successione di Moubarak è affidata ad un regime militare che dovrà portare il paese ad elezioni entro 6 mesi.

Sei mesi sono lunghi, i manifestanti di piazza Tahir, raffredderanno i loro ardori in sei mesi. Altri potrebbero accorgersi di avere fame e sete, saranno stanchi ed inizieranno a pensare di aver già fatto la loro parte quindi torneranno a casa. In sei mesi di tempo possono succedere tante cose, inclusa la possibilità di dimenticare o modificare le promesse fatte al popolo.

L’unica certezza in Egitto è che l’esercito ha mantenuto il potere che fino ad ora aveva Moubarak, ex militare anch’egli, e che rischiava di essere trasmesso al figli, un non militare, con il conseguente rischio di un vero e proprio cambiamento.

Quella che sembra una vittoria per la popolazione civile è solo fumo negli occhi per nascondere una situazione che è rimasta uguale a se stessa. La questione Egitto rischia di tornare agli albori della cronaca in sei mesi da adesso e rischia la medesima deriva Jihadista di altri paesi islamici.  

La certezza per le superpotenze è che il nuovo regime militare manterrà lo “status quo”, il rispetto degli accordi internazionali in essere tra i nostri paesi e l’Egitto e soprattutto la continuazione dei rapporti tra Egitto e Israele.

In tutto questo scenario, va ripetuto che la Comunità Europea rimane un organismo incapace di determinazioni in politica estera e l’ONU, che sarebbe l’organo deputato ad intervenire tempestivamente, viene by-passato in  pieno da iniziative di alcuni paesi o organizzazioni regionali come la NATO che tentano di mantenere viva una loro ragione di essere.

Attendiamo l’ennesimo “colpo di mano umanitario” coperto da una appropriata macchinazione mediatica e dalle solite dichiarazioni della Clinton che assurgono gli USA a depositari dei diritti umani e alle solite, inutili e sempre uguali dichiarazioni stampa della Ashton che tentano di coprire l’immobilità della CE.

Quale sarà il ruolo del nostro paese nel commettere questo ennesimo crimine nei confronti di un paese sovrano (in questo caso la Libia)? L’Italia come ha sempre fatto, ha approvato l’unico intervento umanitario vero e proprio con una missione pronta ad entrare in azione e volta al rimpatrio dei profughi egiziani e tunisini dalla Libia. Il tutto con un accordo con i paesi coinvolti che dovranno accogliere i profughi. Nessuna ingerenza militare ma un tempestivo intervento umanitario.

Il rischio per il prossimo futuro è quello che qualcuno dei nostri politici approvi l’utilizzo delle nostre basi militari del sud Italia per favorire un intervento prettamente militare di USA e Inghilterra, commettendo lo stesso errore già commesso dall’allora Presidente del Consiglio Massimo D’Alema quando, nel 1995 le nostre basi militari del Nord servirono da testa di ponte per il bombardamento dello stato sovrano della Jugoslavia, creando il caos che ancora oggi cerchiamo di coprire e di gestire sia in Bosnia che in Kosovo.

Pur non essendo un luminare del diritto, ci tengo a fare una breve considerazione: in base all’Articolo 11 della Costituzione, ”L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà di altri popoli e come mezzo per dirimete le controversie internazionali”. Il bombardamento della Jugoslavia avallato dall’allora Primo Ministro Massimo D’Alema è stato giustificato da giochi di parole, riuscendo a giustificare un intervento bellico, un atto di guerra, con il nome di intervento di pace, missione di pace o addirittura intervento umanitario.

Indipendentemente dal nome che vogliamo dare alla guerra, quando si da il via a bombardamenti aerei e si mandano militari armati fino ai denti a combattere contro altri uomini per il controllo del territorio e delle risorse in altri paesi, con scontri a fuoco e vittime da entrambe le parti, significa che stiamo facendo una guerra anche se la vogliamo chiamiamo con i nomi piu’ fantasiosi.

Non credo che i nostri padri costituenti, nel sancire il rifiuto della guerra, intendessero accettarla se chiamata con un altro nome.

Infine non si capisce perché il Premio Nobel per la pace Barak Obama continui a ripetere che Gheddafi se ne deve andare lasciando campo libero a ribelli fuori controllo, armati e probabilmente addestrati anche con l’ausilio di estremisti islamici, come già mostrato in alcuni servizi televisivi. Perché il leader della Libia se ne dovrebbe andare dalla sua terra abbandonando il paese al caos, solo perché ad oggi non va più a genio al Presidente Americano?

Chi ha eletto Obama a giudice e custode della “verità assoluta”  e della “democrazia mondiale”? Perché tutti dovremmo essere in linea con questa politica di aggressione giustificata solo da campagne mediatiche a discredito di altri leader, in paesi indipendenti e così lontani dagli USA?  

Quanto sta succedendo, ancora una volta ci dimostra che dopo secoli di guerre non abbiamo imparato nulla, dopo milioni di morti ammazzati, chi ha ragione è sempre quello con le armi più grosse.  In questo caso proprio il Premio Nobel per la Pace Barak Obama possiede le armi più potenti ed è pronto ad usarle, come al suo predecessore George W. Bush, gli serve solo di creare la scusa adatta a sparare, cioè un paravento creato “ad hoc” dai mass media, per giustificare decine e decine di morti.

Chi siede dalla parte della ragione è sempre il più forte ma … attenzione … la sorte della Libia di sedere dalla parte del torto, un giorno o l’altro potrebbe toccare a tutti, noi compresi.

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